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La
trattazione che andiamo ad affrontare ci propone lo studio di un simbolo
molto amato su tutto l’arco Alpino e pure un tempo anche nel piano
Padano. Oltre che seguire i percorsi tortuosi delle sue presenze su un
tempo di migliaia di anni, ho
cercato di capire cosa faceva sì che il sole delle Alpi o simbolo
solare esamero, si riciclasse o se volete rifunzionalizzasse così bene, cambiando
i tempi storici. Dai carrettini solari Halstantiani, alle Signore degli animali,
al Sol Invictus e Cibele, a Cristo sole perenne, al Creatore patrono delle
sue creature, vi è sempre un legame sole-animali forse annidato negli inconsci
collettivi. I Messapi e gli Etruschi usavano il segno esamero come protezione
apotropaica delle loro lapidi (VII sec.) (Stele
del Museo di Manfredonia, n. 95, trovata a Siponto. Bianchi Bandinelli, Etruschi
e Italici, B.U.R. 1976. Stele di Aule Feluske n.
363. F
. Pallottino, Testimonia linguae etruscae,
La Nuova Italia
ed., Firenze, 1954.).
Anche l’uso del segno fatto
dalla città etrusca di Volterra sopra le monete è apotropaico. La
presenza del simbolo solare nel santuario Peligno di Ercole Curino (Cantiere
archeologico sul Monte Morrone presso Sulmona, I sec. a.C),
con esamero sovrapposto al
Sole, nel pavimento ci qualifica l’emblema come simbolo sacro
pavimentale, ruolo apotropaico che troveremo in tutta l’epoca romana. La
presenza di un forte culto al dio solare gallico Beleno nell’arca
orientale del Veneto (Pellegrini
Prosdocimi, La lingua venetica, Ed. Prog., Padova, 1967 - Dedica Belen
Aug. Vedi anche Tertulliano, Ad nationes II, Apol. Adv. G 24/7)
anche nella mistilingue Aquileia, ci fa pensare che forse i tre pavimenti
con l’esamero solare (Pavimenti
ad Altino, Oderzo, Concordia.)
concentrati in quell’area potrebbero avere qualche relazione anche
indiretta con superstizioni solari. Altra questione invece è quella
relativa ai simboli solari esameri del calderone
di Gundestrup. Questi sono oggettivamente le ruote del carro della Signora
degli animali, riconoscibile per la presenza degli elefanti. Questa
tipologia di divinità, simile alla Diana greco-romana trova buon
riscontro in area alpina in Artio, la dea con l’orso, e in Ikatei
(Vedi:
Calderone di Gundestrup, I Celti, Catalogo della mostra a Venezia,
Bompiani, 1991; Statuetta bronzea della dea Artio, Historisches
Museum di Berna; I dischi di Montebelluna, AA.VV. Il Veneto
nell’antichità, B.P.V., 1984, pag. 861; Soprintendenza archeologica
del Veneto, La protostoria tra Sile e Tagliamento, Esedra ed.,
1996; in copertina: Disco di Musile sul Piave)
la dea venetica degli animali con la chiave magica. La dea del Gundestrup
possiede un feroce lupo (sotto il carro) come la dea venetica, e come la
dea venetica è a capo coperto.
È
stato un grande stupore quello di vedere il simbolo solare campeggiare su
un carro e rappresentare religiosità animali nei culti celtici del I sec.
a.C., nella maniera in cui fino ancora a qualche anno fa si faceva nel
Veneto e nel Trentino (Ancora
oggi sono stupito di vedere un simbolo legato agli animali nella
protostoria campeggiare sui collari delle capre del Museo delle Genti
Trentine di S. Michele (TN) o dei giochi e dei reggicoperte del Museo di
Boscochiesanuova (VR)).
Già nelle raccolte folkloristiche più vecchie compaiono i reggicoperta
solari che i veronesi usavano per le feste e per le malattie dei buoi (
Toschi Paolo, Il folklore, T.C.I., 1967, illustrazione n. 181;
Gambiè G.M., Tradizioni popolari veronesi, E.V.Ver, 1967, figg.
22-23).
Questi sono dei grossi solari esameri ordinati a piramide o meglio a
foglia di edera con la punta in su. In ogni caso i musei della tradizione
contadina del triveneto sono pieni di solari esameri (Di
particolare importanza: Museo della T.P. di S. Briccio: Carro col solare
esamero e i freni a dragoni (1880); Museo della T.P. di Udine: Salterio
con due solari esameri nelle rosette; AA.VV., Civiltà rurale di una
valle vicentina:
la Val Leogra
, Vicenza, 1976. Nelle foto si vede un intero sagrato lastricato col
sole delle Alpi.)
che vertono su due campi d’attività: l’attività pastorale o boarile
e la tecnologia dei carradori e in genere della tecnologia del legno. Un
ambito per noi molto interessante della tecnologia del legno, perché
nelle collezioni nobiliari si sono conservate molte cose, andate distrutte
nella più precaria tradizione contadina, e per il legame con
l’industria delle corde di budello animale (Viane) è quello dei liutai
e cembalari. Quando il liuto egiziano passò in dote agli Arabi, questi
per la loro nota abitudine all’arte astratta ne sfruttarono fortemente
la rosetta, come parte decorata a traforo. Quando il liuto si diffonde
nelle Corti Padane, anche con la spinta delle correnti umanistiche e
neoplatoniche, si creano raffinate simbologie. Doppie stelle di David,
cruciformi di ogni genere, persino pentacoli a cinque punte, come mostra
orgogliosamente il liuto in primo piano sulla pala d’altare del duomo di
Lendinara. In questo mare di simboli, il solare esamero non è molto
frequente nella grande liuteria. Nell’Intavolatura per liuto di
M. Carrara (1594) viene presentato un liuto con il solare esamero nella
rosetta, forse è un liuto da studio, dato lo spirito didattico
dell’opera. Con l’adozione della rosetta nelle chitarre
veneziane vediamo già un solare esamero “barocco”, cioè ingrassato
nelle forme, come ci testimonia un piccolo strumento conservato al
Castello Sforzesco (S.
Toffolo, Antichi strumenti veneziani. Liuti e chitarre.
Arsenale editore, 1991).
Questa forma, mutuata dai rosoni delle chiese, avrà più fortuna sulle
spinette, ma il vecchio segno solare rimarrà immutato sulle arcicetre
diatoniche settecentesche (Vedi
anche: Accademia roveretana di musica antica, Strumenti per Mozart.
Le spinette, Longo Editore, 1987; Kristianell, Musik in Südtirol,
Arunda; A. Mayr (1734) Zither, 1990 – Catalogo del Carolino
Augusteum di Salzburg
)
del Museo di Bolzano e sul salterio popolare del Museo di Udine (dom.
Gaetano Perusimi). Come possiamo vedere, al di fuori delle chiese,
l’antico simbolo ha continuato il suo viaggio e gli animali hanno
donato fino al XIX secolo le budella per fare le corde. Dimostrata la permanenza
del segno con qualche lacuna (attribuibile alla scarsità di reperti lignei
nel Medioevo), possiamo osservare che la Signora
degli Animali non ha problemi a passare a Diana, sotto i Romani. Delle dee
venete quella che mantiene più le proprie caratteristiche è
la Lualda
che porta il suffisso -da (come gli dei celtici Dagda, Icoranda,
Gavida) e che passa in sue forme particolari a Cibele (Mentre
le altre dee paleovenete vengono sostituite da divinità grecoromane, già
dal I sec. d.C. sul vecchio culto della Lualda si innesta una particolare
figura di Cibele, guarda caso un’altra signora degli animali con carro.
G. Franzoni, Valpolicella in età romana, GDVP,
1982, in
A. Giuliano, Le città dell’Apocalisse, Melita ed.,
La Spezia
, 1981. Possiamo vedere l’assimilazione dei culti iranici presso la
popolazione celtica dei Galati, che vivevano sugli altipiani anatolici.
Nella figura 56 troviamo un solare esamero forse associabile allo strano
Sol Invictus locale.).
Con un passaggio già identificabile ai tempi dei Franchi
( V.
Erodiana, Proverbia super natura feminarum, Anonimo XII sec.
Scomponibile in Ero-Diana.)
si forma in seguito il personaggio mitico della Erodia o Erodiana, che era
già nel Rinascimento ben attivo. Nella tradizione popolare contemporanea
(V.
Milani M., Streghe morti ed esseri fantastici ..., Ed. Programma,
1990, e la citazione dell’Erodia in Raterio, A.M. Di Nola Il diavolo.
Magia e religioni, Newton Compton, 1986.)
del bellunese l’Erodia ha al suo servizio un branco di lupo e porta
ancora il grande fazzoletto nero passato intatto dai dischi di Ikateia a
oggi. Inutile dire che il legame con gli animali è sparito se escludiamo
i lupi, e così anche il simbolo solare lascia le signore degli animali,
ma resta nei culti solari del tardo impero romano. Cerchiamo di vedere
come la fase della penetrazione dei culti iramici del Sol Invictus
nell’Impero Romano precorre quella della propagazione del Cristianesimo.
L’area di maggior accoglienza dei culti di “Ma” e di “Men” (Cibele)
e del Sol Invictus (Mithra) è l’Asia Minore, grande crogiuolo di razze
e di idee. Il nostro simbolo solare infatti campeggia sulle terme romane
di Ankara assieme al Toro e ad altri simboli Mithraici. Nella stessa
regione in seguito avremo moltissime conversioni al Cristianesimo, anche
da parte di quei Galati che venivano dal mondo celtico. Per inciso
nell’Anatolia si svilupparono fortemente i culti di Ma e di Men che
secondo eminenti studiosi francesi si sincretizzarono in San Mama (Hadjnicolau
Marava A., O Alios Mamas, C.I.F.A. Atene, 1953.).
S. Mama nella tradizione cristiana, nella prima parte della sua vita, come
santo fanciullo predica agli animali selvaggi e vive mungendo le cerve. La
sua prima menzione risale a S. Gregorio
Nazianeno (330 d.C. circa) ma già dalle chiese paleocristiane è presente
nel Veneto (Anonimo
(VII-VIII sec.) De Laudibus Veronae.).
S. Mama e il Sole Esamero dunque entrano nel Cristianesimo padano come
elementi residuali dei culti ellenistici assorbiti e adattati
sui vecchi miti. Se S. Mama avrà grande culto in area alpina e cantabrica,
il Sol Invictus troverà un continuare nella teologia e simbologia del Sol
Perennis come Cronocrator (J.
Danielov, Symboles Chrestiens Primities, Parigi, 1961.)
(Signore del Tempo) già in autori come Origene, S. Cipriano e Ippolito.
Per far piacere ai conversi e convertire i
pagani il segno esamero già presente in chiese paleocristiane verrà
vieppiù diffuso ai tempi dei Longobardi, dei Franchi e dei Bizantini.
Massimo interprete indiscusso della cristosolarità come “Exempla” per
convertire i parenti dei novelli battezzandi è San Zenone (S.
Zenone (IV sec.) Alteri Sermones, EV.VER. Lo Scrigno, 1956.)
nei suoi dieci sermoni Al Fonte
Battesimale. Pare nei discorsi che i suoi discepoli fossero Reti e Norici
oltre che Padani. Vediamo alcuni “Exempla”: - ... col suo perenne
correre è giunto dopo aver
toccato le mete di innumerevoli tempi sempre percorrendo la stessa orbita
egli estese i mesi in stagioni, le stagioni in anni, gli anni in secoli.
Senza posa corre alla vecchiaia e tuttavia non si sposta dalla culla ove
è nato. - L’anno sempre in fuga si immobilizza nella eterna presenza
del sole divino che fa del tempo un sol giorno. - Fratelli carissimi ecco
il radioso giorno padre dei
secoli, capace di ogni genere di frutti, traente dal suo ricco seno i doni
delle quattro stagioni. - Percorrendo lo stesso giro di ruota superate le
XII parti dell’anno, sempre sorgendo novello dal suo tramonto egli per
vivere sempre muore. La natura di conversione dei miti pagani con la
divisione dell’anno in zone della luce e zone delle tenebre si ritrova
maggiormente nel sermone “delle XII costellazioni” che non riportiamo.
Se nel IV secolo il simbolo
solare non era ancora molto usato nelle chiese, al tempo
dei Longobardi ebbe una grande espansione europea. Lo ritroviamo dalla
chiesa della Theotokos (A
Costantinopoli.)
a S. Pedro de
la Barca
a Zamora (Spagna). Dai bassorilievi scolpiti sui plutei e sulle facciate
non riusciamo bene a decodificare
i soli nel loro significato. Il solare esamero del messale gelasiano
(Incipit
del II libro del Sacramentario Gelasiano (Messale Merovingio sec. VIII).
Centro della croce, Biblioteca Vaticana Roma; vedi anche L’uomo e
il tempo n.
9, A
. Mondadori Ed., 1974, pag. 35.)
databile al 750 d.C, per il suo contorno di animaletti miniati ci
riporta a un sole simbolo del Creatore. Se questa ipotesi fosse giusta
avremmo anche una risposta alla presenza massiccia degli animali scolpiti
non solo sulle chiese coeve, ma anche sulle crocette longobarde (
Von Hessen O., Cultura materiale presso i Longobardi in I
Longobardi e
la Lombardia
, Milano, 1978, pag. 264).
Il Sole delle
Alpi: un simbolo padano di Gilberto Oneto
Il Sole delle
Alpi: altre interpretazioni di Giuseppe Aloè
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