Il Sole esamero delle Alpi.


 

di Davide Fiorini

 

Tutto quanto segue, immagini comprese, è tratto dal n° 12 dei Quaderni Padani 

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La trattazione che andiamo ad affrontare ci propone lo studio di un simbolo molto amato su tutto l’arco Alpino e pure un tempo anche nel piano Padano. Oltre che seguire i percorsi tortuosi delle sue presenze su un tempo di  migliaia di anni, ho cercato di capire cosa faceva sì che il sole delle Alpi o simbolo solare esamero, si riciclasse o se volete rifunzionalizzasse così bene, cambiando i tempi storici. Dai carrettini solari Halstantiani, alle Signore degli animali, al Sol Invictus e Cibele, a Cristo sole perenne, al Creatore patrono delle sue creature, vi è sempre un legame sole-animali forse annidato negli  inconsci collettivi. I Messapi e gli Etruschi usavano il segno esamero come  protezione apotropaica delle loro lapidi (VII sec.) (Stele del Museo di Manfredonia, n. 95, trovata a Siponto. Bianchi Bandinelli, Etruschi e Italici, B.U.R. 1976. Stele di Aule Feluske n. 363. F . Pallottino, Testimonia linguae etruscae, La Nuova Italia ed., Firenze, 1954.). Anche l’uso del segno fatto dalla città etrusca di Volterra sopra le monete è apotropaico. La presenza del simbolo solare nel santuario Peligno di Ercole Curino (Cantiere archeologico sul Monte Morrone presso Sulmona, I sec. a.C), con esamero sovrapposto al Sole, nel pavimento ci qualifica l’emblema come simbolo sacro pavimentale, ruolo apotropaico che troveremo in tutta l’epoca romana. La presenza di un forte culto al dio solare gallico Beleno nell’arca orientale del Veneto (Pellegrini Prosdocimi, La lingua venetica, Ed. Prog., Padova, 1967 - Dedica Belen Aug. Vedi anche Tertulliano, Ad nationes II, Apol. Adv. G 24/7) anche nella mistilingue Aquileia, ci fa pensare che forse i tre pavimenti con l’esamero solare (Pavimenti ad Altino, Oderzo, Concordia.) concentrati in quell’area potrebbero avere qualche relazione anche indiretta con superstizioni solari. Altra questione invece è quella relativa ai simboli solari esameri del calderone di Gundestrup. Questi sono oggettivamente le ruote del carro della Signora degli animali, riconoscibile per la presenza degli elefanti. Questa tipologia di divinità, simile alla Diana greco-romana trova buon riscontro in area alpina in Artio, la dea con l’orso, e in Ikatei (Vedi: Calderone di Gundestrup, I Celti, Catalogo della mostra a Venezia, Bompiani, 1991; Statuetta bronzea della dea Artio, Historisches Museum di Berna; I dischi di Montebelluna, AA.VV. Il Veneto nell’antichità, B.P.V., 1984, pag. 861; Soprintendenza archeologica del Veneto, La protostoria tra Sile e Tagliamento, Esedra ed., 1996; in copertina: Disco di Musile sul Piave) la dea venetica degli animali con la chiave magica. La dea del Gundestrup possiede un feroce lupo (sotto il carro) come la dea venetica, e come la dea venetica è a capo coperto.

È stato un grande stupore quello di vedere il simbolo solare campeggiare su un carro e rappresentare religiosità animali nei culti celtici del I sec. a.C., nella maniera in cui fino ancora a qualche anno fa si faceva nel Veneto e nel Trentino (Ancora oggi sono stupito di vedere un simbolo legato agli animali nella protostoria campeggiare sui collari delle capre del Museo delle Genti Trentine di S. Michele (TN) o dei giochi e dei reggicoperte del Museo di Boscochiesanuova (VR)). Già nelle raccolte folkloristiche più vecchie compaiono i  reggicoperta solari che i veronesi usavano per le feste e per le malattie dei buoi ( Toschi Paolo, Il folklore, T.C.I., 1967, illustrazione n. 181; Gambiè G.M., Tradizioni popolari veronesi, E.V.Ver, 1967, figg. 22-23). Questi sono dei grossi solari esameri ordinati a piramide o meglio a foglia di edera con la punta in su. In ogni caso i musei della tradizione contadina del triveneto sono pieni di solari esameri (Di particolare importanza: Museo della T.P. di S. Briccio: Carro col solare esamero e i freni a dragoni (1880); Museo della T.P. di Udine: Salterio con due solari esameri nelle rosette; AA.VV., Civiltà rurale di una valle vicentina: la Val Leogra , Vicenza, 1976. Nelle foto si vede un intero sagrato lastricato col sole delle Alpi.) che vertono su due campi d’attività: l’attività pastorale o boarile e la tecnologia dei carradori e in genere della tecnologia del legno. Un ambito per noi molto interessante della tecnologia del legno, perché nelle collezioni nobiliari si sono conservate molte cose, andate distrutte nella più precaria tradizione contadina, e per il legame con l’industria delle corde di budello animale (Viane) è quello dei liutai e cembalari. Quando il liuto egiziano passò in dote agli Arabi, questi per la loro nota abitudine all’arte astratta ne sfruttarono fortemente la rosetta, come parte decorata a traforo. Quando il liuto si diffonde nelle Corti Padane, anche con la spinta delle correnti umanistiche e neoplatoniche, si creano raffinate simbologie. Doppie stelle di David, cruciformi di ogni genere, persino pentacoli a cinque punte, come mostra orgogliosamente il liuto in primo piano sulla pala d’altare del duomo di Lendinara. In questo mare di simboli, il solare esamero non è molto frequente nella grande liuteria. Nell’Intavolatura per liuto di M. Carrara (1594) viene presentato un liuto con il solare esamero nella rosetta, forse è un liuto da studio, dato lo spirito didattico dell’opera. Con l’adozione della rosetta nelle chitarre veneziane vediamo già un solare esamero “barocco”, cioè ingrassato nelle forme, come ci testimonia un piccolo strumento conservato al Castello Sforzesco (S. Toffolo, Antichi strumenti veneziani. Liuti e chitarre. Arsenale editore, 1991). Questa forma, mutuata dai rosoni delle chiese, avrà più fortuna  sulle spinette, ma il vecchio segno solare rimarrà immutato sulle arcicetre diatoniche settecentesche (Vedi anche: Accademia roveretana di musica antica, Strumenti per Mozart. Le spinette, Longo Editore, 1987; Kristianell, Musik in Südtirol, Arunda; A. Mayr (1734) Zither, 1990 Catalogo del Carolino Augusteum di Salzburg ) del Museo di Bolzano e sul salterio popolare del Museo di Udine (dom. Gaetano Perusimi). Come possiamo vedere, al di fuori delle chiese, l’antico simbolo ha continuato il suo viaggio e gli animali hanno donato fino al XIX secolo le budella per fare le corde. Dimostrata la permanenza del segno con qualche lacuna (attribuibile alla scarsità di reperti lignei nel Medioevo), possiamo osservare che la Signora degli Animali non ha problemi a passare a Diana, sotto i Romani. Delle dee venete quella che mantiene più le proprie caratteristiche è la Lualda che porta il suffisso -da (come gli dei celtici Dagda, Icoranda, Gavida) e che passa in sue forme particolari a Cibele (Mentre le altre dee paleovenete vengono sostituite da divinità grecoromane, già dal I sec. d.C. sul vecchio culto della Lualda si innesta una particolare figura di Cibele, guarda caso un’altra signora degli animali con carro. G. Franzoni, Valpolicella in età romana, GDVP, 1982, in A. Giuliano, Le città dell’Apocalisse, Melita ed., La Spezia , 1981. Possiamo vedere l’assimilazione dei culti iranici presso la popolazione celtica dei Galati, che vivevano sugli altipiani anatolici. Nella figura 56 troviamo un solare esamero forse associabile allo strano Sol Invictus locale.). Con un passaggio già identificabile ai tempi dei Franchi ( V. Erodiana, Proverbia super natura feminarum, Anonimo XII sec. Scomponibile in Ero-Diana.) si forma in seguito il personaggio mitico della Erodia o Erodiana, che era già nel Rinascimento ben attivo. Nella tradizione popolare contemporanea (V. Milani M., Streghe morti ed esseri fantastici ..., Ed. Programma, 1990, e la citazione dell’Erodia in Raterio, A.M. Di Nola Il diavolo. Magia e religioni, Newton Compton, 1986.) del bellunese l’Erodia ha al suo servizio un branco di lupo e porta ancora il grande fazzoletto nero passato intatto dai dischi di Ikateia a oggi. Inutile dire che il legame con gli animali è sparito se escludiamo i lupi, e così anche il simbolo solare lascia le signore degli animali, ma resta nei culti solari del tardo impero romano. Cerchiamo di vedere come la fase della penetrazione dei culti iramici del Sol Invictus nell’Impero Romano precorre quella della propagazione del Cristianesimo. L’area di maggior accoglienza dei culti di “Ma” e di “Men” (Cibele) e del Sol Invictus (Mithra) è l’Asia Minore, grande crogiuolo di razze e di idee. Il nostro simbolo solare infatti campeggia sulle terme romane di Ankara assieme al Toro e ad altri simboli Mithraici. Nella stessa regione in seguito avremo moltissime conversioni al Cristianesimo, anche da parte di quei Galati che venivano dal mondo celtico. Per inciso nell’Anatolia si svilupparono fortemente i culti di Ma e di Men che secondo eminenti studiosi francesi si sincretizzarono in San Mama (Hadjnicolau Marava A., O Alios Mamas, C.I.F.A. Atene, 1953.). S. Mama nella tradizione cristiana, nella prima parte della sua vita, come santo fanciullo predica agli animali selvaggi e vive mungendo le cerve. La sua prima menzione risale a S. Gregorio Nazianeno (330 d.C. circa) ma già dalle chiese paleocristiane è  presente nel Veneto (Anonimo (VII-VIII sec.) De Laudibus Veronae.). S. Mama e il Sole Esamero dunque entrano nel Cristianesimo padano come elementi residuali dei culti ellenistici assorbiti e adattati sui vecchi miti. Se S. Mama avrà grande culto in area alpina e  cantabrica, il Sol Invictus troverà un continuare nella teologia e simbologia del Sol Perennis come Cronocrator (J. Danielov, Symboles Chrestiens Primities, Parigi, 1961.) (Signore del Tempo) già in autori come Origene, S. Cipriano e Ippolito. Per far piacere ai conversi e convertire i pagani il segno esamero già presente in chiese paleocristiane verrà vieppiù diffuso ai tempi dei Longobardi, dei Franchi e dei Bizantini. Massimo interprete indiscusso della cristosolarità come “Exempla” per convertire i parenti dei novelli battezzandi è San Zenone (S. Zenone (IV sec.) Alteri Sermones, EV.VER. Lo Scrigno, 1956.) nei suoi dieci sermoni Al  Fonte Battesimale. Pare nei discorsi che i suoi discepoli fossero Reti e Norici oltre che Padani. Vediamo alcuni “Exempla”: - ... col suo perenne correre è  giunto dopo aver toccato le mete di innumerevoli tempi sempre percorrendo la stessa orbita egli estese i mesi in stagioni, le stagioni in anni, gli anni in  secoli. Senza posa corre alla vecchiaia e tuttavia non si sposta dalla culla ove è nato. - L’anno sempre in fuga si immobilizza nella eterna presenza del sole divino che fa del tempo un sol giorno. - Fratelli carissimi ecco il radioso giorno padre dei secoli, capace di ogni genere di frutti, traente dal suo ricco seno i doni delle quattro stagioni. - Percorrendo lo stesso giro di ruota superate le XII parti dell’anno, sempre sorgendo novello dal suo tramonto egli per vivere sempre muore. La natura di conversione dei miti pagani con la divisione dell’anno in zone della luce e zone delle tenebre si ritrova maggiormente nel sermone “delle XII costellazioni” che non riportiamo. Se  nel IV secolo il simbolo solare non era ancora molto usato nelle chiese, al tempo dei Longobardi ebbe una grande espansione europea. Lo ritroviamo dalla chiesa della Theotokos (A Costantinopoli.) a S. Pedro de la Barca a Zamora (Spagna). Dai bassorilievi scolpiti sui plutei e sulle facciate non riusciamo bene a decodificare i soli nel loro significato. Il solare esamero del messale gelasiano (Incipit del II libro del Sacramentario Gelasiano (Messale Merovingio sec. VIII). Centro della croce, Biblioteca Vaticana Roma; vedi anche L’uomo e il tempo n. 9, A . Mondadori Ed., 1974, pag. 35.) databile al 750 d.C, per il suo contorno di animaletti miniati ci riporta a un sole simbolo del Creatore. Se questa ipotesi fosse giusta avremmo anche una risposta alla presenza massiccia degli animali scolpiti non solo sulle chiese coeve, ma anche sulle crocette longobarde ( Von Hessen O., Cultura materiale presso i Longobardi in I Longobardi e la Lombardia , Milano, 1978, pag. 264).  

Il Sole delle Alpi: un simbolo padano di Gilberto Oneto 

Il Sole delle Alpi: altre interpretazioni di Giuseppe Aloè